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Non respingere. Così termina uno dei discorsi sull’amore più intensi e celebri del cinema contemporaneo. Un padre e una figlia colloquiano sulla necessità dell’amore. Quello passionale. Che fa trasalire. Diventando ossessione, possessione, forse delirio, ma di certo pulsione vitale, energia, causa di permanenza su questa terra perché motivo di viaggio. Senso del viaggio. “Non respingere”, ammonisce il padre alla figlia, in un viaggio in elicottero, luogo forse non casuale per parlare di sentimento perché, metaforicamente, è come se ci si fosse emancipati dal calpestio della terra e dal cicaleccio banale di discorsi circostanziati (che riempiono le strade cittadine così come le private abitazioni) per “innalzarsi” verso regioni più rarefatte. Ma torniamo a scendere giù per un attimo e, invece di levitare, riprendiamo il filo del discorso. “Non respingere”, dicevamo. L’equivalente, potremmo azzardare, di “non seguire” – o meglio – di “non assecondare il diktat delle resistenze”. Quei blocchi autoimposti che ci conducono nella direzione diametralmente opposta di quello che, invece, vorrebbe la nostra parte non meramente razionale.

Einstein – parliamo di Einstein, non di Shakespeare – ebbe modo, a quanto pare, di percepire la possibile deriva di vite inaridite e delle relative società che, di tali “vite”, sono popolate laddove scrisse: “la mente intuitiva è un dono sacro e la mente razionale un fedele servo. Noi abbiamo creato una società che onora il servo e ha dimenticato il dono”. Pertanto, prendendo in prestito questa magistrale riflessione e trasponendola su di un piano sentimentale, si potrebbe affermare che, se per mente intuitiva intendiamo la parte emozionale e, per mente razionale, la parte più meramente dedita al calcolo e all'acquisizione di certezze empiriche, sia l’amore a prima vista – che si fa bastare un solo sguardo − che quello eterno – il quale vive e si nutre di un ideale “presentimento” di immortalità − sarebbero, entrambi, nient’altro che “sciocchezze” le quali, con l’età adulta, dovranno essere necessariamente rivisitate e rimpiazzate onorando l’esigenza di adeguamento cogente e dimenticando, quindi, la traiettoria luminosa del trasporto animico. Bisogna sacrificare la meraviglia sull’altare della razionalità. Non è così? Sì. Fin quando due occhi bucano i castelli teorici, sventando ogni tipo di resistenza. Come accade nel film “Vi presento Joe Black”. E come accade, magari, anche nella vita vera, reale, empirica. E a te, è mai capitato il “colpo di fulmine”?

 Elena Italiano